Visualizzazione post con etichetta Economia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Economia. Mostra tutti i post

mercoledì 17 febbraio 2016

O pensione che si fugge tuttavia


Noi vediamo i vecchietti, e, almeno personalmente, sembrano tante tartarughe, e mai ci soffermiamo a pensare che tra 20,30 o 40 anni noi diventeremo come loro. Una vita di sacrifici, tanto lavoro, con la voglia di godersi la meritata pensione e un po' di tempo libero. Ecco, oggi la pensione non rappresenta più quell'isola felice capace di allontanare le nuvole nere di un'esistenza , ma è lei stessa un tornado forza 4 che spazza via tanti progetti.

In un mondo che invecchia e l'aspettativa di vita è sempre più ottimistica, sono tanti i governi che hanno deciso di riformare e modernizzare i sistemi pensionistici.
Secondo il report dell' OECD (2015),  i progressi sono tangibili ed efficaci, molte nazioni, infatti, hanno aumentato l'età del pensionamento, portandola oltre i 65 anni, qualcuno a 67, altri addirittura a 70. Logicamente, nessuno è felice di andare in pensione ad un'età così avanzata, ma i politici e i riformatori sono sicuri che, seppur in età avanzata, potremo goderci tanti anni da pensionati, grazie ad un'aspettativa d vita crescente.
Ci sono due punti di vista, quelli che vedono la pensione come un traguardo semi-raggiungibile e quelli che la vedono con il cannocchiale. In Italia, chi è prossimo alla pensione, a seguito delle molteplici riforme, vede slittare in avanti l'età di pensionamento, ritrovandosi come un vecchio Achille che gareggia con la tartaruga. Mentre, per i giovani, colpiti in gravissimo modo dalla crisi di questo millennio, a causa della disoccupazione e contratti anomali, la pensione arriverà, forse, tanto tanto in là.
La crisi ha messo in ginocchio oltre che i pensionati anche le pensioni stesse. Gli interessi bassi, dovuti sia da un senso di prudenza sia dalla crescita frenata dei mercati, rendono difficile avere un ritorno sufficiente e necessario per mantenere i livelli adeguati di guadagno, sia per i pensionati sia per le casse previdenziali.

I sistemi pensionistici di tutto il mondo si trovano ad affrontare così due fattori essenziali per calibrare e organizzare gli investimenti necessari.
  • Il rischio della longevità, eh sì è un rischio per i fondi pensionistici, è il rischio più grande sia in termini economici che sociali, in quanto la popolazione vive più a lungo dei risparmi accumulati, questa differenza dovrà essere colmata dalle generazioni future o dai governi. Per ridurre l'impatto del rischio di longevità, una regola generale è quella di alzare la soglia del pensionamento, in modo da bilanciare gli anni in pensione con gli anni effettivamente lavorati. Questa strategia è messa in atto da Australia, Germania, Giappone e Regno Unito.
    fonte: Melbourne Mercer Global Pension Index Infographic, 2015
  • La sicurezza finanziaria dei fondi è un punto critico per assicurare ai pensionati una stabilità economica, ed è o dovrà per forza diventare un focus politico di primaria importanza. La sicurezza finanziaria è data da due fattori, uno è il livello di asset detenuti dai fondi pensione, e l'altro è il debito pubblico. Gli asset finanziari sono accumulati per garantire i benefit pensionistici e sono i contributori principali della sostenibilità di lungo periodo delle pensioni. D'altra parte, il debito nazionale è un'approssimazione della capacità dei governi di far fronte a pensioni non coperte nel futuro


fonte: Melbourne Mercer Global Pension Index Infographic, 2015

Questo grafico indica, in termini percentuali di Pil, i livelli dei fondi messi da parte dai governi per pagare le prossime pensioni. Più la percentuale è alta più il sistema pensionistico è sostenibile nel lungo periodo e può affrontare anche rischi non calcolati o cambiamenti demografici repentini.
Come vediamo, a livello mondiale, l'Italia è sicuramente lontana anni luce dall'avanguardia pensionistica delle nazioni più progredite, come Danimarca, Paesi Bassi e Svizzera.

Il report Melbourne Mercer Global Pension Index (2015) analizza e classifica i sistemi pensionistici in base a tre criteri, adeguatezza (benefici, risparmi, crescita degli asset), integrità (normativa, governance del rischio, livello di fiducia dei cittadini), e sostenibilità (adesione a schemi  complementari, aspetti demografici e macroeconomici).
fonte: Melbourne Mercer Global Pension Index Infographic, 2015

L'Italia totalizza dei buoni risultati nei punti di adeguatezza e integrità, anche se sensibilmente inferiori alla prima della classe Danimarca, mentre per quanto riguarda la sostenibilità è uno dei paesi più arretrati, dove la previdenza privata e schemi complementari sono ancora poco diffusi ed utilizzati.
Il sistema pensionistico italiano è sempre più insostenibile anche dal punto di vista economico, l'Italia ha speso tra il 2010 e il 2015 il 15,7% del Pil nazionale, precisamente il doppio rispetto agli altri paesi europei, cioè l'8,4%.
Per migliorare, l'Italia dovrebbe aumentare il livello di contribuzione, aumentare il tasso di partecipazione dei lavoratori di età tra 55-64, una fascia spesso sotto-valorizzata, rendere meno disponibili i benefici prima del pensionamento e ridurre il debito pubblico.
Ora più che mai bisogna adottare un piano coordinato, o come vorrebbe Steiner, un'azione triarticolata che agisca su più piani e livelli, una coordinazione coerente del mercato del lavoro, delle pensioni, delle strutture finanziare e della società. Così facendo, si assicura un'ottima qualità di vita per godersi i risparmi di una vita.

Anche a livello sociale bisogna evolversi e rendersi conto che la pensione non decreta la fine dell'uomo, ma è solo una parte, si spera piacevole, dove coltivare interessi e rimanere attivi ed integrati nella società.
Invece, sempre più si assiste all'occultamento degli anziani, ormai ritenuti economicamente svantaggiosi, in quanto non più produttori di reddito e consumatori ridotti.

Un bellissimo film, che consiglio a tutti, è Quartet, diretto da Dustin Hoffman, si incentra nella vita di una casa di riposo per musicisti. E' interessante vedere come l'interazione con il pubblico e la voglia di fare ciò che si ama riaccenda la scintilla negli occhi di questi scontrosi, volatili e particolari vecchi signori.

Integrare la parte anziana della nostra società ci permette sicuramente di far tesoro di consigli e "dritte" sulla vita, senza le quali ci risulta più difficile vivere.



"Nella gioventù raccogliamo conoscenze, facciamo esperienze di vita, nutriamo speranze che solo più tardi possiamo valorizzare. Più ci avviciniamo alla vecchiaia e più cominciamo ad amare la saggezza della vita"

R. Steiner, L'Amore e il suo significato nel mondo, 1912

Non bisogna rinnegare la vecchiaia, ma arrivarci in salute, ancora pieni di speranza, e speriamo anche con una buona pensione.

Al prossimo incontro,
Eleonora










mercoledì 3 febbraio 2016

Uno Stato Economico nel caos


Il grande stato economico, l'Unione Europea, è ormai allo stato terminale della crisi, stati sull'orlo del default, mercati finanziari in crisi, disoccupazione a livelli allarmanti, tsunami di rifugiati, disordini pubblici, confusione politica a livello nazionale e internazionale.
La domanda è : praticare l'eutanasia a questo esperimento socio-economico, si o no?
Il dibattito è più che mai aperto e difficile da dipanare, gli ultras del no-euro contro i fanatici del paese delle meraviglie. Come mai l'Europa non riesce a trovare un equilibrio e portare avanti politiche importanti?

Facciamo un passo indietro ed analizziamo le basi poste per la nascita dell'Unione Europea.

C'era una volta, un continente devastato da due delle più grandi e sanguinose guerre del '900, che decise all'unanimità di creare una cooperazione tra gli stati. Con il Trattato di Roma del 1957 si va così a creare ufficialmente la Comunità Economica Europea. Andava a profilare una situazione omogenea nei campi del sociale, della politica, con politiche comuni a livello internazionale, e dell'economia, grazie all'istituzione della Banca europea per gli investimenti.
Le motivazioni nascoste e semi-nascoste sono molteplici e variegate, dal punto di vista sociale, il movimento paneuropeo serviva a contrastare le spinte nazionaliste-fasciste. Espresso dal Manifesto di Ventotene (1944), si delineava la necessità pressante all'internazionalizzazione e con questa il bisogno impellente di una forza politica esterna ai partiti tradizionali del singolo paese, focalizzati ai problemi del proprio recinto. Anche le motivazioni economiche e politiche spingevano verso un federalismo degli stati europei. L'unione economica, con l'abbattimento dei dazi intra-europei e con l'applicazione del dazio comune extra-europeo, permetteva una ricrescita economica-industriale post-bellica, come poi è avvenuto con il boom degli anni '60.
Particolare ruolo è stato dato alla Germania, viene ristabilita la sua sovranità al pari delle altre nazioni. Malvista dalla maggioranza delle nazioni europee, la Germania è il punto centrale del Trattato di Dunkerque del 1947, stipulato tra Francia e Regno Unito, è  la dimostrazione di una paura comune nei confronti del pericolo tedesco, paura diffusa anche nei paesi del Benelux, che firmano nel 1949 il Trattato di Bruxelles. La Germania finchè rimane divisa non pone nessun rischio per le altre potenze, che anzi riescono bene a controllarla e a sottometterla alle loro politiche.
Quando nel 1989 cade l'URSS e la Germania si trova di nuovo unita, la comunità europea trema e trova altri paletti per delimitare la potenza appena acquisita dalla Germania. Ciò scatena reazioni internazionali memorabili: 

              "Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due"
                            
 il modo in cui i tedeschi stanno sgomitando 
suggerisce che non è cambiato molto dai tempi di Hitler


L'Europa, per accettare la Germania unificata, decide di mettere in atto politiche che possano rafforzare l'unione, come con l'accordo informale franco-tedesco, si contratta l'entrata nella comunità della Germania in cambio della rinuncia al marco e il rafforzamento della PESC, la politica estera dell'unione. L'accettazione di questo accordo è il ramoscello d'ulivo tedesco, che rinuncia alla sovranità monetaria e alle mire espansionistiche verso Est.
La ricostruzione di una Germania forte e militarizzata era un futuro tangibile, per questo il Trattato di Maastricht del 1992 diventa il legame finale tra Germania e Unione Europea.

"L’integrazione europea è un imbroglio tedesco per assumere il comando dell’intera Europa” 
                                                                            N. Ridley, Ministro britannico dell’Industria, 1990

A causa di giochi di potere sull'asse Berlino-Parigi, la Germania riesce a prendere il timone dell'integrazione economica e monetaria, facendo prevalere l'impostazione rigorista tipica dei tedeschi. L'Eurozona così si trova a seguire criteri e procedure per rendere "l'euro altrettanto solido e monolitico come lo era stato il marco tedesco" (Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore, 2013).
Dal pilotaggio monetario, la Germania unificata diventa una potenza industriale, con il primato mondiale delle esportazione, che rafforza il prestigio della nazione. Intanto anche il settore finanziario avanza, le banche tedesche iniziano, nei primi anni del 2000, a comprare e detenere titoli pubblici di almeno una decina di paesi.
Con stoicismo, affronta un triennio di rigore fiscale, che porta la nazione al pareggio del bilancio.
Da quel momento, la Germania diventa la maestra bacchettona dell'Europa, paladina dell'austerità, ha assunto de facto "il compito di stabilire, unilateralmente, ciò che è bene e ciò che è male per l'intera Comunità" (Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore, 2013), per guarire la malattia cronica del Sud Europa.

Una delle cause della confusione in Eurolandia è proprio il compito che si è assunta la Germania. Guida dell'Europa senza un'adeguata investitura democratica, rettifica senza un piano dichiarato o preciso le riforme politiche ed economiche di ventisette stati. Ormai, il benestare del governo Merkel è il sigillo del Papa, che va apposto su ogni decreto e  mossa economica, come nel caso Alitalia-Etihad.
La seconda causa è l'assenza totale di sovranità nazionale sulle politiche monetarie. Il beneficio sociale dell'Unione Europea, grazie alla libera circolazione, è stato ridotto notevolmente dalla mancanza di un'adeguata struttura monetaria unificata, con meccanismi preposti al risk-sharing in caso di crisi economiche, assicurazioni a livello europeo che possano livellare i rischi a cui si va incontro con la perdita di elasticità nazionale su questioni monetarie. 

"In una specie di Stato mondiale tutta la vita economica si statalizzerebbe, 
e così non verrebbero a evidenza i singoli passivi dei paesi sconfitti"

R.Steiner, Come si opera per la triarticolazione sociale, 
Ed. Antroposofica, 1988 

Steiner, nel 1921, aveva ipotizzato uno Stato unificato, dove le politiche economiche fossero centralizzate nella sfera politica, determinando comunque la prevalenza di uno stato sugli altri, di un'ideologia sulle altre, un chiaro disequilibrio della triarticolazione. Quando la sfera politico-giuridica agisce direttamente sulla sfera economica, il risultato è la distruzione di ricchezza, la dispersione dei capitali, un netto abbassamento della forza economica con conseguente indebolimento della società e dei lavoratori (M. Viezzoli,1989). 
La terza causa è il sottostante nazionalismo, sempre più prorompente in tutte le nazioni. Secondo Steiner, l'Europa deve rivoluzionare il modello di vita sociale e culturale, riforma che deve essere attuata a livello paneuropeo. Infatti, ogni Stato, ogni popolo ha le proprie tradizioni e visioni della società e della cultura, creando una forte frammentazione che si traduce nell'incapacità di adottare leggi comunitarie. Anche dal punto di vista economico, c'è sempre un senso di rivalsa un paese contro l'altro, come dimostra lo spread. Lo spread ha valore solo nel caso in cui si confrontano monete e paesi diversi, mentre è insensato confrontare paese della stessa Unione con la stessa moneta, che cosa ci mostra? Avrebbe più senso confrontare il flusso monetario nei mercati finanziari, o lo stock di import/export per vedere la potenza industriale. Prima della crisi, lo spread tra Stati era un linguaggio pertinente solo ai tecnici, oggi, o meglio durante il governo Monti, lo spread apre qualsiasi dibattito politico ed economico. 
La quarta causa può essere vista nei rapporti non chiari tra Europa e America.  Se l'Europa non riuscisse nella trasformazione culturale e restasse impantanata nella crisi dell'euro, l'America farebbe capolino con aiuti sempre più autoreferenziali. Se il mercato europeo crollasse, il mercato americano rimarrebbe, secondo Steiner, focalizzato sulle necessità del proprio paese, arrivando alla chiusura assoluta nei confronti della morente Europa.

Una soluzione per la crisi economica sembra essere proposta, a livello europeo, dalla Banca Centrale Europea, con il Quantitative Easing. Dal punto di vista teorico, questa manovra, da tempo utilizzata in più aree del mondo, non siamo certo i primi, prevede che la banca centrale si faccia carico di comprare prodotti finanziari dalle banche commerciali, questo si traduce in un iniezione di moneta liquida nel mercato. La banca centrale europea, avendo libertà di stampare moneta, decide di immettere soldi usciti dal nulla, creando un sistema economico e monetario basato sulla semplice aria. Quello che sta facendo la BCE è già stato intrapreso dalla Federal Reserve americana dal 2010, un esperimento il cui esito non sarà quello sperato, nel mentre si creeranno speculazioni e bolle a scapito dei risparmiatori.
Secondo alcuni, il QE ha avuto e avrà effetti positivi in generale, con tassi d'interesse più bassi su mutui e obbligazioni, prezzi delle case conformi ai mercati, una maggiore valutazione del mercato azionario, un'inflazione salutare, un tasso tendente all'aumento per quello che riguarda il mercato del lavoro, e una crescita del PIL.
Per altri, invece, rappresenta un mostro economico che distruggerà il benessere e farà sprofondare ulteriormente i mercati in una profonda e conclusiva crisi.
Il primo problema è il sistema bancario, che è il beneficiario primario della manovra QE. Infatti, la Bce compra dalle banche i prodotti finanziari, immettendo liquidità grazie a questa compravendita. Ma questa liquidità non viene divisa anche con altri beneficiari, in quanto le banche hanno smesso di dare prestiti e mutui, per cui l'economia reale, casalinga, non viene minimamente interessata dalla nuova liquidità. Mentre, le banche, che in Italia detengono più dell' 80% dei prodotti finanziari, potranno investire nei mercati finanziari, andando a creare un ulteriore ricavo per i bilanci delle banche stesse. Inoltre, questa nuova disponibilità porta i detentori del potere economico a cercare quei titoli che avranno un tasso d'interesse allettante. Purtroppo, i tassi vengono automaticamente abbassati dall'immissione massiccia di liquidità, per questo gli investimenti si sposteranno verso aziende e paesi più rischiosi, ma che rendono un tasso di guadagno sull'investimento maggiore, con un altissimo rischio di creare una bolla finanziaria. 
Il secondo problema è politico, e divide in due fazioni gli Stati, quelli sulla retta via fiscale, come la Germania, e quelli considerati un peso morto, come Grecia, Spagna e Italia. Infatti, i primi non vogliono prendersi sulle spalle il rischio d'insolvenza rappresentato dai secondi. Per questo, la Bce deve diversificare il portfolio di azioni acquistate tramite QE, includendo i titoli dei paesi più sicuri, come Germania, Francia e Finlandia, e quelli ritenuti addirittura speculativi come Portogallo e Grecia (Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore, 2015). Inoltre, il QE non sostituisce in alcun modo le riforme strutturali, è solamente un palliativo adottato per rimandare decisioni fondamentali a livello europeo e nazionale.

Un'altra opzione per venire fuori dalla crisi è la svalutazione, per rendere competitivo l'export europeo. Anche qui, però, il paneuropeismo viene inghiottito dalla voracità nazionale, in quanto la svalutazione dell'euro come moneta unica è impossibile se non determinata da una grave crisi sistemica, e quindi non è uno strumento controllabile e utilizzabile ai fini economici. Mentre la Fed ha controllo delle operazioni di politica economica, potendo scegliere quando alzare o abbassare i tassi per favorire il mercato e la società, l'Unione Europea ha declinato questo potere nelle mani della Germania. Il piano della Germania per uscire dalla crisi è svalutare l'euro ricorrendo a crisi sistemiche all'interno dell'unione, un paese per volta, Grecia, Italia, Spagna, Portogallo. Mettendo in crisi il sud Europa, considerato malato e confusionario, il governo Merkel ha risollevato il mercato economico e lavorativo della Germania.

L'ultima manovra intrapresa dall'Europa è la piano Junker, che promette 330-410 miliardi di PIL in tre anni e 1 milione di posti di lavoro (Il Messaggero). Grazie all'uso di leve finanziarie, il presidente della commissione promette trecentoquindici miliardi di euro per far ripartire l'economia europea. Usando risorse già esistenti, che ammontano a ventuno miliardi, andrà a finanziare progetti, nell'area trasporti, energia, ricerca e formazione, scelti da un'autorità di nuova costituzione, che attireranno finanziamenti esteri. Certo, il piano non è esente da rischi: il primo è che la leva finanziaria non riesca a produrre quanto promesso e necessario per l'Europa; oppure che questi soldi vengano male indirizzati e gestiti; un altro rischio è che il finanziamento di progetti non riesca ad attrarre finanziamenti esteri tali da giustificare un immane spiegamento di euro. 

Logicamente, non c'è uno sciroppo risolutivo per questa situazione, e purtroppo, nel mentre che i medici trovano una soluzione adeguata al malanno, noi dobbiamo subire e cibarci tagli fiscali, previdenziali e lavorativi. Il governo Renzi è tranquillo, noi un po' meno.
Facendo nostro il motto di Rossella, " domani è un altro giorno", aspettiamo la cura.

Al prossimo incontro,
Eleonora



mercoledì 27 gennaio 2016

Il vuoto del voto


Allo scoppio della depressione economica del 2008, molti giovani, come me, si sono affacciati alla scelta del percorso universitario che sarebbe poi sfociato in una bella opportunità lavorativa.
Poveri illusi!
Il mercato del lavoro ha subito un colpo durissimo, preannunciato dai dipendenti licenziati della Lehman Brothers nel 2008, che ancora oggi, a distanza di otto anni, stenta a tornare competitivo e capace di assorbire chi un lavoro lo cerca. La ricerca per i giovani laureati è ancora più snervante e difficoltosa, in quanto le aziende cercano profili a dir poco fantascientifici, neolaureati con almeno 110 e 2 anni di esperienza per un tirocinio di sei mesi, senza possibilità di inserimento futuro. 

Assurdo, vero? 
Il mercato lavorativo è diventato un cane che si morde la coda, con alte palizzate e un fossato, dove i ragazzi cadono e si vedono respinti a causa dei prerequisiti richiesti per posizioni entry level.

Uno degli strumenti di difesa delle aziende è il voto di laurea, chimera degli studenti universitari.

Senza nulla togliere a quei ragazzi bravi, anzi bravissimi, con una mente analitica e un sistema di studio a prova di bomba, il voto di per se è facilmente influenzato da altri fattori, onde per cui il voto di laurea è un'insieme di fattori correlati e concatenati, che, se ci pensiamo bene, non offrono un'immagine veritiera delle capacità innate ed acquisite del giovane.

Ma serve davvero ai fini lavorativi laurearsi e sventolare il 110 e lode?

Dopo anni di indottrinamento al 110 e lode, di tecniche comprovate di innalzamento media grazie ad insegnamenti cuscinetto, ora che uno studente su tre raggiunge l'olimpo accademico del 110, nel 2016 abbiamo la prova provata che il voto di laurea non indica un miglior rendimento professionale, grazie all'azienda Ernst and Young e Penguin Publisher, una delle più famose e selettive in campo di risorse umane e una delle case editrici più aperte.
Le risorse umane hanno evidenziato come non ci sia un nesso tangibile tra la performance accademica e la futura performance lavorativa. L'educazione e il livello scolastico saranno ancora utili strumenti per inquadrare il carattere e la preparazione di un candidato. Con ciò si ammette che questa barriera taglia fuori dalla possibilità di inviare il proprio CV tutti quei candidati che vengono da un background difficoltoso e svantaggiato, rispecchiato da voti meno brillanti a scuola. Uno studio condotto da Social Mobility e Child Poverty Commission in UK ha portato alla luce uno "scandalo sociale" ai danni dei ragazzi meno ricchi o con meno agganci. E' risultato che i ragazzi di un ceto sociale più alto e privilegiato hanno il 35% di possibilità in più di guadagnare stipendi importanti rispetto ai ragazzi più intelligenti ma meno appetibili socialmente. Queste opportunità in più sono date dalla potenza dei genitori, economica e sociale. Economicamente, perché possono permettersi il top dei licei e delle università; socialmente, perché possono facilitare l'ingresso nel mercato del lavoro attraverso reti sociali informali.
Una ricerca condotta dallo Studio Staff (1991) riporta dati empirici sull'importanza in  ambito lavorativo del 110. Visto che il voto alto indica un'ottima preparazione accademica, i profili di mansioni tecniche hanno il più alto numero di laureati con il massimo del voto, a prescindere dagli anni impiegati. Mentre i profili manageriali sono legati alla tempistica per arrivare alla laurea, più si è fuori corso, meno probabilità ci sono di arrivare a posizioni manageriali; questa tendenza denota una caratteristica comportamentale progettual/manageriale (G.Carelli, Le api e le regine. Vizi e virtù del lavoro degli italiani, 2008).

Andiamo ad analizzare cosa influenza il voto universitario dal punto di vista formale e come mai le aziende non dovrebbero mai soffermarsi su un mero numero in centodecimi.

Sin dagli anni 80, anni d'oro per la ricerca sulle organizzazioni economiche e le pratiche di buon business, l'educazione universitaria è stata considerata un punto cardine nella selezione e assunzione di personale. Infatti, l'educazione è usata come un indicatore dei livelli di abilità e produttività. Selezionati, scremati e incasellati con il criterio dell'educazione, oggi le aziende usano il voto come scorciatoia per carpire un livello accettabile di capitale umano produttivo. 
Ricordiamo che il benessere economico e sociale degli anni 80 e 90 hanno dato credito alla teoria della buona educazione = buona performance lavorativa, rendendo questa relazione assiomatica.
Sfortunatamente, le ricerche in questo ambito sono state interrotte e dimenticate, mentre il mercato del lavoro si è evoluto, con crisi, nuove figure e nuovi contratti, e le aziende hanno continuato imperterrite ad applicare questo tipo di processo di selezione.

A.Pozzi, Giovani tra scuola e lavoro. Dispersione scolastica, formazione e inserimento professionale in Provincia di Pescara, 2005, Franco Angeli ed.

Il rendimento universitario è prima di tutto influenzato dall'indirizzo della scuola secondaria e dal voto di maturità, che incide sul percorso poi scelto per l'università e sul metodo di studio, più o meno efficace. A sua volta, la scelta della scuola secondaria è influenzata dallo status educativo dei genitori, più i genitori avranno un livello d'istruzione medio-alto, più i figli saranno indirizzati verso i liceii. Il link tra voto di maturità e voto di laurea indica che la performance scolastica è da individuarsi nelle capacità personali, come la concentrazione, il metodo di studio, l'applicazione. Il voto di maturità, inoltre, influenza la scelta del percorso formativo universitario, si andrà a scegliere un percorso ad alto livello di specializzazione, come medicina, economia ed ingegneria, più il voto sarà soddisfacente.
L'età, anche, è un fattore indiretto determinante nei risultati scolastici, più si è giovani, e più il voto di maturità sarà alto, e più saremo orientati verso lauree molto specializzate. L'età è correlata anche allo status socio-economico familiare, infatti, si è notato che se lo status è medio basso, i neolaureati saranno meno giovani.
Anche il sesso tende a determinare il voto di laurea, infatti le ragazze saranno più propense ad una scelta liceale, aumentando la possibilità di un voto di laurea più alto. La tendenza di oggi vede le donne campioni delle università, infatti le ragazze si laureano di più, prima e con voti migliori.

Ciò nonostante, il voto di laurea è soggetto anche ad altri fattori, come la rettifica della media grazie ad insegnamenti più semplici, che aiutano ad alzare la media e il voto finale. Bisogna anche considerare il sistema universitario italiano, che permette di ripetere, dilazionare e contrattare esami ed esiti. In Italia, possiamo ripetere lo stesso esame più e più volte, finché il risultato non ci aggrada, quando ti siedi per l'ottava volta allo stesso esame e prendi 30, non sei bravo, al massimo tenace e caparbio; due gli effetti, hai perso tanto tempo, hai preso un bel voto. La scelta deve essere personale, e il mercato lavorativo non dovrebbe precludere allettanti possibilità a chi ha scelto di fare gli esami a botta secca, come è prassi nel resto del mondo. Nel sistema anglosassone e olandese, lo studente è obbligato ad accettare il voto, qualunque esso sia. In questi casi, il voto è effettivamente un'istantanea della preparazione dello studente.

Personalmente preferisco un'efficace strategia di apprendimento per laurearsi in tempo che la ricerca spasmodica della perfezione con tempi biblici. Opinione quanto più personale, in quanto il quadro italiano delle università dimostra come, secondo i dati forniti da AlmaLaurea, l'età media alla fine degli studi triennali è di 24 anni, mentre per la specialistica è di 26 anni. Dati completamente differenti dal resto d'Europa, dove i giovani si inseriscono nel mondo del lavoro già all'età di 23-24 anni. Noi italiani, invece, dobbiamo aspettare quasi 45 mesi dalla laurea prima di entrare nel mondo del lavoro.

L'inutilità del voto è il cardine della pedagogia steineriana, che si rifiuta categoricamente di selezionare e catalogare gli alunni con voti e scale di valori. Secondo uno studio dell'UNESCO (Prospects: the quarterly review of comparative education, vol.XXIV, no. 3/4, 1994), ha dimostrato come la mancanza del voto non influenza il rendimento effettivo dell'alunno sul lungo termine. Nel 1990, il 57.5% degli studenti che hanno raggiunto la qualificazione necessaria per accedere gli studi universitari, provenivano dal scuole steineriane, dato strabiliante se si pensa che per più di dodici anni non sono mai stati giudicati e classificati da voti.
Il successo di questo approccio pedagogico è visibile sopratutto sul lungo termine studiato in un gruppo di alunni delle scuole Waldorf nati nel 1940/1941, rappresentato da una maggiore mobilità geografica e sociale, un maggiore accesso ad attività culturali, come l'interesse nell'arte, la pratica di uno strumento musicale e l'abilità nei lavori manuali artigianali. Soprattutto, le persone così formate ed educate hanno maggiori capacità per affrontare le sfide della vita, con una maggiore sicurezza di sè, una vasta gamma di interessi e pronti e disposti ad accettare le responsabilità sociali.

Il voto è solamente una gabbia sociale, per rendere tangibile fin da piccoli l'ineguaglianza delle persone, che con differenti talenti vengono classificati in base a test standardizzati, che non mostrano le peculiarità di ognuno. Il sistema scolastico tradizionale è complice dello scoraggiamento e dell'abbandono dello studio, della svogliatezza degli alunni, del mero "faccio i compiti", della vergogna per il voto basso, porta in auge e a modello ragazzi più portati a fare esami, o ad essere pronti ad alzare la mano, gli estroversi.

Quindi non siate tronfi dei vostri voti, ma coltivate i vostri talenti e fateli fruttare.

Al prossimo incontro,

Eleonora


martedì 19 gennaio 2016

First things first....


Prendendo spunto dalla mia tesi e dal mondo che ho scoperto, questo blog parlerà sì di economia, ma della buona economia, o come mi piace chiamarla, euconomics, dal greco eu-, buono,bene, un'economia che accresce l'individuo e non solo il portfolio azionario di alcuni, seguendo e riadattando ad una società moderna e mai soddisfatta le idee del filosofo austriaco Rudolf Steiner.

In Italia, questo eclettico e visionario personaggio è conosciuto da pochi, forse pochissimi, ha rivoluzionato mille e uno aspetti della vita dell'uomo, dalla spiritualità al sistema scolastico, dalla medicina all'agricoltura, non dimenticando, attenzione, l'economia, la società e l'indole dell'uomo, sempre libera e mai piegata a diktat sociali o culturali.
Nel 1894, Steiner pubblica "Die Philosophie der Freihet", La Filosofia della Libertà, il manifesto della corrente filosofica da lui ideata, cullata e divulgata. Il fulcro dell'esistenza umana è quello di avere libertà di scelta a livello mentale, di pensiero e corporeo, esaltando la figura dell'uomo ad essere naturale e super-naturale, riprendendo le idee di Goethe. L'uomo è sì figlio della Natura e sottoposto alle sue leggi, ma grazie alle capacità di pensiero e di potere concettuale può immaginare e scavalcare i limiti imposti, elevandosi dalla sua natura più animale.

Seguendo i precetti di Goethe, grazie alla capacità elaborativa e di fantasia della mente umana, Steiner crede nell'immenso valore educativo delle fiabe, rileggendole ed analizzandole in chiave spiritualistica e svelando archetipi collettivi nascosti dietro principesse incantate, lupi cattivi e mele avvelenate. E per questo loro potere di veicolare messaggi che ho deciso di chiamare il blog:

The Star Money, o La Pioggia di Stelle, fiaba dei fratelli Grimm, racconta la storia di una bambina povera ma con un cuore così generoso da dare a persone in difficoltà tutto quello che lei possiede, dal pezzetto di pane alla sciarpa, ma sempre con lo spirito felice di donare agli altri. Per questa sua attitudine è ricompensata dal Cielo da una pioggia di stelle che  si trasforma in denaro.
Ora, eliminando dalla fiaba le connotazioni fanciullesche del c'era una volta e vissero per sempre felici e contenti, la storia di questa bambina ci indica come dobbiamo costruire la nostra società, mettendo a disposizione l'uno dell'altro i nostri talenti

I bisogni più materiali, che hanno portato all'era del consumismo, sono fini a se stessi, danno quel senso di soddisfazione fugace e stimolano in un loop infinito l'acquisto di beni che a noi fondamentalmente non servono. Le multinazionali spingono sempre di più verso questo genere di consumismo, decerebrato, uno zombie-shopping, entri in un negozio per una penna, esci che potresti aprire tu una cartolibreria con annesso reparto giocattoli. 
Nell'attuale economia vige il sistema del depauperamento economico del piccolo consumatore a vantaggio dei grandi produttori, per loro un' economia delle brame, come ha espresso bene il prof. Archiati, per noi un'economia della fame, dedita soltanto all'appagamento dei bisogni più elementari della piramide di Maslow. 


"Il denaro sta però facendo la fine della macchina: da strumento di benessere per l’uomo che dovrebbe essere ne diviene sempre di più il tiranno. 
Fa sorgere brama (di denaro): prima forma di tirannia.
Fa sorgere paura (di restare squattrinati): seconda forma di tirannia
Fa sorgere concorrenza (per i posti ben pagati): terza forma di tirannia
Fa sorgere sfruttamento (col vivere di eredità, per esempio): quarta forma di tirannia
Fa sorgere a livello mondiale la cosiddetta «globalizzazione» del potere e dello sfruttamento economico a vastissimo raggio (con l’egemonia spietata dell’Occidente): quinta forma, anzi quintessenza mondiale della tirannia."
P. Archiati, Economia e Vita, 2005

Questo circolo vizioso deve essere interrotto da persone coraggiose e che desiderano qualcosa in più dalla vita: trasformare il mondo a vantaggio di tutti. Questa trasformazione deve avere come basi i propri talenti e le conoscenze acquisite, le idee innovative e la pura fantasia, la nostra unicità deve mescolarsi alle altre unicità e creare qualcosa di buono.

Sia ben chiaro, non sto certo proclamando uno stato di anarchia né di far diventare il mondo un'enorme comune hippy.
Analizzando le trascrizioni delle conferenze tenute da Steiner, si capisce come il filosofo avesse architettato una triarticolazione sociale in grado di riorganizzare le sfere che regolano la vita degli uomini, economia, politica e cultura.
Ogni sfera è governata da un principio regolatore che garantisce il corretto funzionamento della vita :



  • la sfera culturale è retta dalla libertà, espressa al massimo della capacità dal pronome Io, l'attività principale è il pensiero, l'accrescimento personale, il miglioramento dei propri talenti;
  • la sfera politica predilige eguaglianza e correttezza, il Noi inteso come comunione e unione di persone che condividono la stessa terra e per questo hanno bisogno di limiti civili e comunemente accettati;
  • la sfera economica è l'espressione di fratellanza e collettività, l'Altro è al centro dell'interesse, Tu hai bisogno di un mio talento e dell'aiuto degli altri.
Sembra il luogo ideale, il sogno di ogni uomo rinascimentale. Quello che ci dice Steiner è semplice, basato, possiamo dire, anche sul buon senso, il rispetto, l'educazione e la solidarietà dovrebbero essere le prime cose insegnate ai bambini, eppure ci troviamo nel 2016 con casi allucinanti di crudeltà verso i nostri simili, verso il nostro pianeta e verso noi stessi.


Ecco, come primo post e punto di partenza mi sembra di aver delineato sia la rotta di questo blog sia la figura e il pensiero di Steiner sull'economia e la società, da qui inizierà questo viaggio nella comprensione della vita di tutti giorni. Partendo dal lato fiabesco ma allo stesso tempo carico di significato, ho deciso di analizzare da un lato il lascito di Steiner e dall'altro questo nostro mondo, cercando nel mio piccolo di dare spunti di riflessione e di incontro per migliorare noi stessi e dare una chance al futuro.

Spero di ritrovare x + n ( 1, 37) di nuovi appassionati :)

Al prossimo incontro,

Eleonora